Dopo quasi quattro anni potrebbe essere arrivato finalmente il momento giusto per la messa a regime dei moduli di amministrazione condivisa Pubblica Amministrazione – Terzo settore, introdotti dal Codice del Terzo settore all’art. 55. Si tratta della co-programmazione, co-progettazione, del partenariato e dell’accreditamento, tutti istituti nei fatti già esistenti ma che, nel Codice, hanno trovato cornice istituzionale e regime giuridico.
Con la co-programmazione, l’ente del Terzo settore è coinvolto nell’attività, di competenza della Pubblica Amministrazione procedente, di individuazione dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili (art. 55, comma 2). Con la co-progettazione, l’ente del Terzo settore è coinvolto in una fase immediatamente successiva rispetto alla programmazione, che attiene alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti (art. 55, comma 3). A questi strumenti si aggiunge l’accreditamento quale ulteriore strumento per individuare i partner con cui le Pubbliche Amministrazioni possono realizzare specifici e predefiniti interventi progettuali (art. 55, comma 4).
Uno dei vantaggi da ricollegarsi all’utilizzo di questi strumenti è la deformalizzazione risultando gli stessi avulsi dal rigore formale della procedura ad evidenza pubblica prevista dal Codice dei contratti pubblici, e rimessi al rispetto principi generali della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona.
Trattasi dunque di procedimenti amministrativi, ad iniziativa di parte o d’ufficio, che trovano il proprio paradigma costituzionale di riferimento nella sussidiarietà orizzontale, a differenza degli appalti pubblici che si fondano sulla concorrenza. In comune però i due strumenti hanno altri principi, più o meno costituzionalizzati: trasparenza, imparzialità, efficacia, efficienza.
Il percorso verso l’applicazione e diffusione di tali istituti è stato lungo, a tratti tortuoso. In una prima fase, le forme di amministrazione condivisa sono state latenti. Ciò verosimilmente in conseguenza del parere del Consiglio di Stato 29 ottobre 2018, n. 2052, che aveva delegato tali istituti all’ambito, angusto e disincentivante, della assoluta gratuità.
Co-programmazione e co-progettazione hanno avuto effettiva linfa, di fatto, a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale 20 maggio 2020, n. 131. La Consulta ha attratto tali istituti nel paradigma, costituzionalmente orientato, dell’amministrazione condivisa, considerandoli una delle più significative espressioni del principio di sussidiarietà orizzontale. Alla base l’idea per cui non solo l’azione del sistema pubblico è idonea allo svolgimento di attività di interesse generale ma anche l’autonoma iniziativa dei cittadini. In questi termini la Corte Costituzionale ha spianato la strada, dando quella spinta sottile che serviva.
Alla Corte Costituzionale hanno fatto poi seguito, nel corso dell’ultimo anno, una serie di riconoscimenti di principio (molti) e le prime sperimentazioni pratiche (ancora poche).
Tra i riconoscimenti, vi è stato quello del legislatore. Con il decreto-legge Semplificazioni (D.L. 16 luglio 2020, n. 76 convertito in L. 11 settembre 2021, n. 120) è stato inserito nel Codice dei contratti pubblici, tra le materie escluse, un esplicito riferimento al Codice del Terzo settore, a comprova del rapporto di specialità tra le due normative.
Nella stessa direzione le «Linee-guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore» del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, approvate con decreto 72/2021, e le «Indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali» dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), per le quali si è da poco concluso il processo di consultazione. In particolare il ministero del Lavoro, nella sua veste di interlocutore privilegiato del Terzo settore e interprete autentico della sua normativa, ha dato alle amministrazioni quel coraggio, che ancora scarseggiava, di intraprendere i percorsi di amministrazione condivisa in alternativa al Codice dei contratti pubblici.
Anche la pandemia ha rivestito un ruolo importante. La necessità, in questo caso, è diventata virtù spingendo le amministrazioni a venire a patti con gli enti del Terzo settore per trovare modalità alternative per soddisfare i bisogni sociali, nell’ottica di non interrompere il servizio e garantirne massimamente la fruizione. In questo caso l’ente del Terzo settore si è fatto “pubblica amministrazione” per tratteggiare il bisogno e “privato” per garantire il servizio, attraverso le forme di co-programmazione e la co-progettazione favorite anche dalla normativa emergenziale. Si pensi all’art. 48 del D.L. 17 maggio 2020, n. 18 (“cura Italia”) e ai percorsi ivi tracciati per definire modalità alternative per erogare i servizi educativi e scolastici, nonché le attività socio-sanitarie e socio-assistenziali. Sono in questa fase più che mai emersi dei modelli virtuosi, a partire dalla determinazione del Comune di Milano del marzo 2020 (atto d.d. 2419) nella quale la co-progettazione è stata utilizzata come strumento per rimodulare il sistema dei servizi sociali per le persone con disabilità.
Nonostante sia stato costruito molto, soprattutto in termini di inquadramento degli istituti, ancora molto vi è da fare per garantire un’affermazione piena degli stessi e sganciarli stabilmente dal Codice dei contratti pubblici. Gli ultimi arresti giurisprudenziali (TAR Emilia – Romagna, 23 giugno 2021, n. 173 e Consiglio di Stato, sez. V, 7 settembre 2021, n. 6232), infatti, si sono mossi in controtendenza, continuando a leggere nella gratuità il presupposto essenziale perché si instauri un rapporto tra la Pubblica Amministrazione e il Terzo settore. Ciò rappresenta, senza dubbio, un fattore disincentivante al ricorso a tali istituti per gli ETS e, soprattutto, rischia di compromettere la qualità dei servizi erogati alla collettività.
Questa volta, l’opportunità da non perdere potrebbe essere rappresentata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Uno degli assi strategici del Piano, infatti, è l’inclusione sociale, da realizzarsi attraverso un rafforzamento capillare dei servizi sociali, l’adozione di modalità innovative di presa in carico, l’housing sociale. Tutte misure, queste, rispetto alle quali gli enti del Terzo settore potranno rilevarsi decisivi se considerati non solo come esecutori ma veri e propri partner della Pubblica Amministrazione, attraverso forme di coinvolgimento degli stessi nella fase di progettazione del servizio. Un primo passo in questa direzione va nell’inclusione del Forum del Terzo settore nel Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, chiamato a svolgere un ruolo consultivo nei confronti della Governance del Piano e dunque auspicabilmente a costituire filtro per gli enti del Terzo settore.
La “buona società” che si vuole rafforzare con il Codice del Terzo settore e rafforzare con il PNRR passa necessariamente attraverso l’interazione nel tessuto sociale di tutte le sue componenti, pubbliche e private, in un’ottica di ausiliarietà e di sostenibilità dello sviluppo.
Servizio in emergenza e urgenza e OdV: storia di un binomio difficile
Una storia a sé, altrettanto travagliata, merita la previsione dell’art. 57 relativa all’affidamento del servizio di trasporto sanitario di emergenza e urgenza, affidato in via prioritaria con convenzione a organizzazioni di volontariato (OdV) iscritte da almeno sei mesi nel Registro unico nazionale del Terzo settore, aderenti ad una rete associativa nazionale, ed accreditate ai sensi della normativa regionale in materia.
La norma, vista la rilevanza degli interessi in gioco, è stata particolarmente attenzionata dalla giurisprudenza dando luogo ad un contenzioso giunto fino in Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Il primo problema è stato quello di capire se l’affidamento diretto alle OdV rappresenti un obbligo o una facoltà per le amministrazioni procedenti. La conclusione che sembra accolta dalla giurisprudenza e dalle Linee-guida del ministero del Lavoro (decreto 72/2021) è che, in presenza di OdV disposte a garantire il servizio, la gara rappresenti un’ipotesi secondaria, sottoposta ad un onere motivazionale rafforzato. Una conferma importante in tal senso si è avuta, da ultimo, con la decisione del TAR Campania, Sez. V, 17 novembre 2021, n. 7355: in questa materia, l’obbligo di motivazione è stato ritenuto cogente solo qualora si scelga la gara anziché la via legislativamente predeterminata che è l’affidamento mediante convenzionamento alle organizzazioni di volontariato.
Il secondo problema è stato delimitare i confini dell’emergenza e urgenza. In proposito la giurisprudenza amministrativa è stata copiosa e a tratti contraddittoria. Non riuscendo a trovare un indirizzo unitario, i giudici amministrativi hanno richiesto l’intervento della Corte di Giustizia. La Corte di Giustizia si è pronunciata sul tema con sentenza del 21 marzo 2019 (nota come sentenza Falck) e con ordinanza del 20 giugno 2019, dimostrando di accogliere un’interpretazione ampia di «servizi di ambulanza», tale da ricomprendere anche il trasporto in ambulanza assicurato da personale debitamente formato in materia di pronto soccorso e svolto nei confronti di un paziente per il quale esiste un rischio di peggioramento dello stato di salute durante il trasporto. Ad oggi tale impostazione è stata seguita dalla giurisprudenza amministrativa successiva e dall’Anac nelle sue Linee-guida, ancora in consultazione.
Il terzo problema, tuttora irrisolto, riguarda la compatibilità con il diritto europeo della priorità assegnata alle organizzazioni di volontariato rispetto agli altri ETS, primi fra tutti le cooperative sociali. L’orientamento giurisprudenziale che ha giudicato legittima la riserva prioritaria del servizio alle organizzazioni di volontariato sia sotto il profilo costituzionale che europeo, di gran lunga prevalente, ha ricevuto una parziale battuta d’arresto con la decisione del Consiglio di Stato di sollevare la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia (Sez. III, ordinanza n. 536/2021). Si attende dunque, ancora una volta, il giudice di Lussemburgo per far chiarezza sul diritto italiano.
di Veronica Varone,
Croce Rossa Italiana