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Volontariato e lavoro subordinato: caratteri distintivi del rapporto

ProductModulo24 Terzo Settore||n. 5|p. 12|di Ilaria Ioannone


Volontariato e lavoro subordinato: ai fini della riqualificazione del rapporto è necessario valutare la mancanza della spontaneità e della gratuità della prestazione resa. Questo quanto si evince dai recenti orientamenti della Corte di Appello di Roma (cfr. sent. n. 1820/2020 e n. 3209/2021) chiamata a pronunciarsi, in due differenti circostanze, sulla possibilità di riqualificare il rapporto instaurato con un’associazione nella veste di volontario come lavoro subordinato. Un chiarimento questo di grande importanza in quanto che consente alle realtà non profit di delineare i criteri necessari a distinguere tali figure. 

A ben vedere, infatti, mentre il volontario presta la propria opera a favore della collettività a titolo personale, spontaneo e gratuito, con il solo diritto a vedersi riconosciuto il rimborso delle spese sostenute e documentate, il lavoratore è legato all’ente da uno specifico rapporto di lavoro (autonomo, dipendente o di altra natura), per il quale riceve una vera e propria retribuzione. 

E proprio la gratuità della prestazione diventa un elemento da valutare ai fini della distinzione tra lavoro subordinato e volontario. Una figura quest’ultima che, come previsto dal Codice del Terzo settore (D.Lgs. n. 117/2017 o CTS), è pensata per essere incompatibile con qualsiasi rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui quest’ultimo è socio o tramite il quale svolge la propria attività (art. 17, comma 5). Con la conseguenza che laddove manchino sia l’elemento della spontaneità che quello della gratuità il rapporto di lavoro subordinato dissimulato da uno di volontariato non seguirà le regole dettate dal Codice per tale figura ma la normale disciplina giuslavoristica. 

Del resto la ratio sottesa alla previsione che regolamenta il volontario è collegata alla necessità di qualificare come tale unicamente chi sceglie di fornire la propria prestazione a titolo gratuito, senza alcun vincolo obbligatorio o di altro genere; tutelando, quindi, anche la figura del lavoratore da possibili abusi legati ad attività che non rispondono alle peculiari caratteristiche dell’azione volontaria. 

In questo contesto, quindi, gli enti non profit dovranno porre particolare attenzione alle modalità di impiego dei propri volontari all’interno della struttura. A ben vedere, infatti, sulla base degli orientamenti della giurisprudenza di merito, l’apporto esclusivo del volontario nello svolgimento dell’attività, la percezione di uno stipendio fisso sotto la veste di “rimborso spese” potranno essere considerati elementi che potrebbero portare ad inquadrare l’attività resa dal volontario nell’alveo del lavoro subordinato. 

Accanto a questi elementi, tuttavia, particolare attenzione, dovrà essere prestata nelle organizzazioni di volontariato (OdV) e nelle associazioni di promozione sociale (APS) al rispetto del rapporto numerico tra lavoratori e volontari all’interno dell’ente. A tal proposito, infatti, vale la pena ricordare che il numero di lavoratori impiegati nell’attività non può essere superiore al 50% dei volontari o, nelle sole APS, al 5% degli associati (in questo computo rientrano solo i lavoratori dipendenti e parasubordinati, per cui sarebbero esclusi i lavoratori che percepiscono compensi esenti da imposte e contributi previdenziali ai sensi dell’art. 67 Tuir). 

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